La gustosa salsa di pomodoro che accompagna molte delle nostre pietanze rischia di diventare l’ennesimo scadente prodotto Made in China, offerto a basso costo. In condizioni a dir poco sfavorevoli è infatti partita, ad agosto, la raccolta in Italia. Tra nubifragi, alluvioni e grandinate, a cui è sopraggiunta una dannosa ondata di calore, la previsione è quella di un’annata ancora più povera delle ultime.
«Il rischio è quello di produrre meno dei 5,6 miliardi di chili previsti per il 2023», dichiarano Coldiretti e Filiera Italiana. «Invece alle frontiere nazionali si assiste a un balzo del 50% delle importazioni di concentrato di pomodoro cinese, che costa la metà grazie allo sfruttamento dei prigionieri politici e della minoranza degli Uiguri nello Xinjiang.» L’affermazione è sulla base dei dati del World Processing Tomato Council, organizzazione internazionale che si occupa della filiera dei pomodori. Il pomodoro è un ingrediente centrale nella dieta mediterranea e nella cucina italiana, attualmente candidata a patrimonio culturale immateriale Unesco (forse nel 2025, dichiara l’Ansa).
I poli di coltivazione nello stivale sono l’Emilia Romagna al Nord e la Puglia al Sud, con la sola provincia di Foggia a garantire l’84% dei 18 mila ettari in regione. Se pensiamo che la filiera ha portato un fatturato di 4,4 miliardi di euro lo scorso anno, risulta evidente l’importanza economica dell’“oro rosso”. Sul raccolto italiano gravano anche i costi energetici, aumentati del 30% rispetto alle medie storiche.
C’è poi un dettaglio che non lascia indifferenti: ciò che ha permesso alla Cina di superare l’Italia nella produzione mondiale non è solo il rincaro energetico o l’aumento dei costi del carburante. Il governo cinese, infatti, non si fa scrupoli nel sottoporre la popolazione dello Xinjiang ai lavori forzati nei campi. Il rapporto di Amnesty International del 2021 denuncia le gravi violazioni dei diritti umani, con torture e imprigionamenti perpetrati sugli Uiguri, costretti forzatamente a lavorare nei campi. Uno scenario di terrore, con paghe da fame.
Seguiti a ruota da Inghilterra e Canada, gli Stati Uniti hanno già approvato norme per limitare i danni e bloccare le importazioni di un prodotto che, oltretutto, è di scarsa qualità. In Europa invece, in assenza di un governo eletto, ognuno va per la sua strada: l’Olanda ha addirittura chiesto alla Commissione Ue il permesso di importazione dalla Cina in esenzione dei dazi, sostenendo che la produzione europea non sarebbe in grado di soddisfare la domanda. Chiara e squillante l’opposizione di Coldiretti. Silenzio dai tecnocrati e dal governo europeo che non c’è e al quale nessuno può chiedere conto.