Andrea Mascetti lancia i Repubblicani: «Salviamo il Nord per salvare tutto il Paese»

Ritratto di Andrea Mascetti realizzato da Walter Capelli

Avvocato, presidente di Finlombarda Spa, animatore di molte iniziative culturali (a partire dalla storica Associazione Terra Insubre), membro dei comitati di Fondazione Cariplo e dell’advisory board di Valore Italia, ma anche grande appassionato di montagna, alpinismo, tradizioni e politica. Ora Andrea Mascetti, 52 anni, di Varese, è anche componente del direttivo dell’Associazione politica “I Repubblicani”

Mascetti, cominciamo col dire cosa sono per lei i Repubblicani…

«Sono, anzi siamo un’associazione di tipo metapolitico e culturale che non ha intenzione di fare il lavoro dei partiti ma che sarà in prima fila a stimolarli con riflessioni – lo speriamo – di alto livello».

Ma i partiti hanno bisogno di questo contributo?

«In un mondo che si muove nei tempi velocissimi dei social, non si può fare a meno di qualcuno che si dedichi a un’analisi approfondita delle questioni chiave. In questo senso, i Repubblicani non solo servono, ma sono indispensabili per dare risposte sui cicli lunghi».

Su quali temi si dovrebbe concentrare l’attenzione?

«Dal mio punto di vista, le prime proposte da avanzare riguardano forme di federalismo efficaci, sostegno alle imprese specie al Nord, stop all’emorragia di forze giovani verso l’estero e un ripensamento del lavoro a distanza inteso come occasione per rilanciare le aree rurali, alpine e prealpine».

E per quanto riguarda la visione europeista?

«È fondamentale ripensare l’Europa, partendo dalla consapevolezza che ci troviamo in un contesto internazionale gravissimo. L’Europa deve essere una federazione di regioni che abbia un potere politico rilevante e una capacità di decisione, oltre a una sua forza militare. Oggi, purtroppo, l’UE non ha una guida autorevole, non esercita alcuna leadership e non possiede neppure un’idea di sé da far pesare».

È corretto vedere nella sua presenza un’adesione della Lega ai Repubblicani?

«No, perché io non ho alcun ruolo attivo nella Lega e non faccio politica da anni. Comunque sia, non credo che i Repubblicani debbano puntare a guadagnare adesioni ufficiali dai partiti, bensì a conquistare credibilità sviluppando proposte serie da sottoporre a tutti quanti, Lega compresa, che ha senz’altro molto interesse per i temi che ci stanno a cuore».

Lo sa che molti si sono sorpresi nel vedere il suo nome nel direttivo…

«Perché mai? Io da anni dedico il poco tempo libero che ho, oltre che alle scalate sulle Alpi, anche alle iniziative di tipo culturale e politico. In questo senso i Repubblicani rientrano nella mia indole in quanto spazio di riflessione».

Però lei e Marco Reguzzoni, presidente dell’associazione, ai tempi in cui eravate assieme nella Lega Nord avete provato reciprocamente ad espellervi. Non è così?

«Io e Marco ci siamo confrontati e battuti anche duramente per difendere ciò che allora ritenevamo giusto. Oggi, con quello che vedo in giro, mi sento di pronunciare un romanesco “aridatece Reguzzoni”. D’altronde, pur essendo io e lui molto diversi, ne apprezzo la determinazione e l’entusiasmo, oltre che una certa avventatezza, in cui peraltro mi riconosco».

In molti, dopo il primo incontro pubblico dei Repubblicani, si sono chiesti quale dovrà essere la strada concreta da seguire. Giriamo la domanda a lei: che si fa?

«Si aprono tavoli di confronto per stimolare un coinvolgimento di persone immerse nel mondo del lavoro per elaborare idee. Non ci serve andare a raccattare vecchie volpi della politica o cacciatori di poltrone (che peraltro non possiamo e non vogliamo dare), ma far sentire la voce di chi vive il mondo dei nostri territori, dell’impresa e delle professioni in prima persona, con coraggio. Le parole di uno come Luca Spada, patron di Eolo, sono ciò di cui abbiamo bisogno, assieme alla sua disponibilità a darci una mano per sollevare il tema dei temi».

Sarebbe a dire?

«Il rapporto fra l’apparato centralista e noi che lavoriamo e produciamo soprattutto al Nord. Nonostante tutte le elaborazioni che si sono fatte negli anni, in Italia si torna sempre lì. La missione è arruolare persone che abbiano un sentimento di responsabilità e che siano disposte a diventare bandiere di certe battaglie. I tanti Luca Spada esistenti, possono indicarci la strada da seguire e noi la porteremo all’attenzione dei partiti, perché si battano».

A quali partiti pensa?

«A tutti, perlomeno a quelli che si ritrovano su certi principi. Però non limitiamoci a una visione per cui Repubblicani è un sinonimo di centrodestra. Questa roba non esiste più, è ampiamente superata. Io credo infatti che anche una certa sinistra, che ha letto Pasolini e Gramsci, questi stimoli li possa recepire».

Lo crede veramente possibile?

«Non abbiamo alternative. All’orizzonte c’è una situazione drammatica che si abbatterà sul Paese, nessuno che abbia un minimo di buon senso può restare sordo. Ripeto: combattiamo la battaglia essenziale, riportando in evidenza i valori del lavoro, del federalismo e delle autonomie, chiarendo il fatto che il Nord resta la locomotiva da proteggere».

Sembra una riattualizzazione del pensiero bossiano. È così?

«La Lega Nord è stato un tentativo utopico e per questo grandioso. Le idee di Bossi come quelle di Miglio sono ancora attuali se le si leggono per quello che hanno saputo far maturare dopo. Per questo dico che non siamo qui per dividere l’Italia, ma per valorizzare la parte del Paese che ha dato e può dare tanto, anche come esempio virtuoso. Se non si salvano le imprese e lo spirito del Nord, non si salva il Paese. Se ci lasciamo trascinare di nuovo nel gorgo per cui neghiamo che il Sud sia in uno stato spesso disastroso, allora sarà la fine. È tempo di aiutare prima di tutto chi fa, costringendo gli altri ad alzare l’asticella. Su questo i Repubblicani devono picchiare i pugni sul tavolo».

Pensa che siano maturi i tempi per un bipolarismo sul modello americano?

«Io, personalmente, non credo che quello schema sia riproponibile da noi. In Italia non identifico la chiave di volta nel rapporto fra Repubblicani e Democratici, ma nel rapporto fra Nord e Sud. Lì ci giochiamo tutto, perché il futuro sta nella capacità di uscire dalla visione macchiettistica di un conflitto secessionista in cui cercano di confinarci per ridicolizzarci, rendendo invece evidente come la necessità più semplice e assieme urgente sia sviluppare un progetto in cui un Nord forte viene tutelato e insegna a un Sud debole come ricostruire se stesso».

Pare pronto per candidarsi, non crede?

«Non faccio politica attiva da anni e non ho mai coltivato ambizioni in tal senso. Però studio la politica e mi posiziono sempre dalla parte in cui si mettono gli interessi di chi tutela identità, storia e tradizioni. È da questa prospettiva che io, condividendo molti dei principi espressi da Marco Reguzzoni, sono a disposizione dei Repubblicani per portare qualche idea da trasformare in proposta da sottoporre ai partiti. Questo è il ruolo che mi interessa avere».

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