Anna Martelossi: «Servono politici più formati, altrimenti le decisioni vere vengono prese dai dirigenti e non dagli eletti»

«La caratteristica che più mi attrae dell’Associazione I Repubblicani? È sicuramente il desiderio di creare scuole di formazione politica. Perché in Italia ne abbiamo bisogno come l’aria. Troppa gente s’improvvisa, troppi vengono lanciati allo sbaraglio senza requisiti, forti magari di un consenso elettorale sotto il quale non c’è nulla». Anna Maria Martelossi, 66 anni, di professione commercialista, ora in pensione, riflette a voce alta mettendo a fuoco ciò che le ha insegnato la sua lunga e variegata esperienza politica.

Quale è stato il suo percorso?

«In casa ho respirato l’impegno civico sin da ragazza. Papà faceva l’assessore a Laveno Mombello (Varese) e mi portò appena maggiorenne a qualche riunione del Partito Repubblicano, che ovviamente non c’entra nulla con i Repubblicani di oggi ma che comprendeva personaggi che sapevano fare politica. Negli anni seguenti, ritrovandomi sulle posizioni di un centrodestra moderato, aderii a Forza Italia, divenendo consigliere provinciale a Varese nel 2002, con Marco Reguzzoni presidente. Per un periodo ho anche assunto io stessa la Presidenza del Consiglio Provinciale, dove sono rimasta sino al 2008. A seguire ho lasciato FI e, qualche anno dopo, da civica mi sono candidata a sindaco della mia Laveno, dove sono stata per due mandati sui banchi d’opposizione».

Ora ha deciso di aderire ai Repubblicani, entrando nel direttivo. Perché?

«Intanto perché non è un partito e non richiede una tessera di militanza, ma solo la passione per la politica e l’adesione a certi principi. Mi si chiede di portare idee ed è una cosa bellissima. Ovviamente l’ho fatto anche perché ho una stima immensa di Reguzzoni: come lui, mi piace fare concretamente ciò che serve. Inoltre, l’aspetto rilevante è proprio l’investimento previsto sulla parte formativa. È la prima cosa che mi sono permessa di suggerire a Marco quando ci siamo incontrati, scoprendo che era anche un suo desiderio».

Cosa serve in questo momento alla politica?

«Gente concreta che sappia toccare gli argomenti giusti, con competenza. Purtroppo, a Bruxelles come a Roma, nei consigli regionali e poi giù, in quelli provinciali e comunali, ci sono enormi calderoni in cui finisce di tutto, brave persone ma senza esperienza, capaci di racimolare voti ma incapaci di agire».

Alzando la qualità di chi entra nelle istituzioni, cosa accadrebbe?

«Penso che cambierebbe tutto. Anche perché non è solo una questione di buone idee. Il punto è che troppo spesso, se un politico è impreparato, anche quel poco che può proporre viene stoppato da un apparato che vuole gestire le cose al posto suo. Per esperienza, troppe volte ho visto dirigenti che nonostante le direttive politiche impedivano i cambiamenti, scegliendo loro come usare le risorse. Così la politica sparisce, si accontenta di apparire sui giornali, ma non compie le scelte, delegandole a chi dovrebbe solo dare supporto tecnico».

È un quadro così drammatico quello della macchina burocratica che frena le buone azioni?

«Assolutamente sì. Nel mio piccolo faccio l’esempio del passaggio a livello di Laveno Mombello. Marco Reguzzoni, da presidente della Provincia di Varese con la sua giunta stanziò svariati milioni di euro per sostituirlo. Sono passati oltre quindici anni, solo adesso sono iniziati i lavori e chissà dove porteranno. Non sto qui a discutere se siano giuste o no le ultime scelte, però mi chiedo: perché tutto questo tempo? Cosa è accaduto? Dove ha fallito la politica? Di esempi simili l’Italia è piena. Ma penso anche a come le risorse si sprechino in ambito solidale, con la duplicazione di associazioni che fanno le stesse cose senza che nessuno controlli e gestisca, oppure guardo con rammarico a certe situazioni critiche in ambito educativo, con regole non consone che rendono tutto complicato. Da presidente di una scuola materna, conosco bene questo problema».

Lei parla di questioni puntuali e specifiche. I Repubblicani lavorano invece su temi molto alti: Europa, federalismo, libero mercato, lotta ai monopoli. Come si possono conciliare le due cose?

«In realtà parliamo della stessa cosa, solo da sfaccettature diverse. Infatti, se si sistemano i modelli di governo e si qualificano le persone, i benefici arrivano a cascata. Per questo apprezzo lo sforzo per la formazione politica, intesa come supporto alle amministrazioni. Per questo auspico un centrodestra unito come negli Stati Uniti, tagliando un po’ dei condizionamenti che la frammentazione partitica provoca, perdendosi nella lotta per spartire le cadreghe. Per questo, inoltre, credo in un federalismo che snellisca una burocrazia talmente soffocante da uccidere lo spirito d’impresa e la buona gestione. Come commercialista ho visto cose da non credere e, paragonandoci alla Svizzera, ho notato differenze vergognose. L’idea che persegue l’Associazione I Repubblicani è insomma un cambiamento di prospettiva: avrà anch’esso dei difetti, ne sono certa, ma non possiamo andare avanti così, in Italia come in Europa, dove il potere delle lobby e dei dirigenti non eletti genera un sistema arido e controproducente».

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