«Il caso Magneti Marelli insegna: serve un governo europeo che metta dazi alla Cina per difendere la nostra produzione»

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C’era una volta, a Milano, un operaio intraprendente. Talmente bravo, coraggioso e dotato di intuito da riuscire a mettersi in proprio, pur fra tanti sacrifici, e a fondare una sua fabbrichetta.

Il settore scelto a fine ‘800 da questo visionario è quello giusto. Nel tempo, infatti, l’azienda cresce e diviene leader nelle batterie per auto. Non solo: in questo ambiente stimolante si sperimenta il primo sistema radiotelevisivo, nei laboratori di ricerca lavora Enrico Fermi (proprio colui che verrà insignito del premio Nobel), mentre dagli stabilimenti passano generazioni di operai orgogliosi, che riescono a comprare casa e a far studiare i figli.

Le maestranze, i tecnici e l’imprenditore al centro di questa straordinaria storia superano il fascismo e la guerra, sono protagonisti della ricostruzione e – quando avviene lo sbarco sui mercati mondiali – battono tutti i concorrenti. Il nome di questo pioniere indimenticabile è Ercole Marelli, inventore di quella Magneti Marelli che per decenni si rivela una realtà produttiva leader nel mondo, in grado di creare ricchezza ed ergersi a protagonista del miracolo economico nazionale.

Poi però, con il passare delle generazioni, la fabbrica perde gradualmente importanza, mentre la produzione viene progressivamente delegata e sparpagliata in diverse nazioni. Allo stesso tempo le azioni cambiano proprietari, finendo ad ingrossare i grandi portafogli finanziari.

Così oggi Magneti Marelli – per meglio dire, Marelli Holdings – ha meno del 20% dei propri dipendenti in Italia, mentre la maggior parte della produzione è in Cina. Proprio in Oriente, probabilmente, nascerà il prossimo Enrico Fermi e sempre lì le future generazioni di operai compreranno la casa e faranno studiare i loro figli. Intanto le decisioni vengono prese a New York e lì finiscono gli utili.

Così, mentre la Commissione Europea apre i mercati incurante della produzione, stando attenta solo ai valori finanziari, la Cina sovvenziona la nascita di nuovi stabilimenti.

Per inseguire inutilmente la concorrenza asiatica, da noi gli stipendi diminuiscono, gli stabilimenti chiudono e i dipendenti finiscono in esubero. È il caso emblematico di Crevalcore, dove l’azienda ha annunciato lo stop totale a inizio 2024 e, di conseguenza, ben 229 licenziamenti. Nei giorni scorsi cinque soggetti industriali si sono detti disponibili a rilevare il sito industriale: bene per l’occupazione, ma pessimo per la perdita di un comparto industriale.

Gli operai hanno protestato e snobbato personaggi come Carlo Calenda ed Elly Schlein, gente che non ha capito o fa finta di non capire che, se abbiamo delegato all’Europa la sovranità sulle dogane, quello che serve è “solo” un governo europeo che a quei tavoli difenda le fabbriche, il mondo produttivo, gli imprenditori e gli operai che sono uniti in un unico destino. Il discorso è terribilmente semplice: questi soggetti o sopravvivono oppure spariscono insieme.

Se la Cina sovvenziona le imprese per aggredire i mercati, l’Europa può e deve mettere dazi. È una soluzione talmente banale da sembrare ineludibile. Eppure, non è così, perché essa si scontra con due colossi: le ideologie da una parte e la logica della finanza dall’altra.

D’altronde, se si torna a parlare di produzione, si manda in soffitta la “lotta di classe” e l’idea di società del terziario, della finanza, dei Paesi poveri usati come produttori a basso costo. Se le aziende e gli imprenditori tornano al centro, finiscono le false illusioni. Invece questo non succede e c’è chi deve ringraziare se gli operai non tirano sassate a chi da quelle logiche trae profitto politico.

Così, se da una parte esiste la storia della Marelli, dall’altra spicca quella di CATL, azienda cinese nata da pochi anni, finanziata dal governo del Dragone e leader mondiale di batterie per auto, con oltre un terzo del mercato internazionale conquistato. Ed è un colosso destinato a crescere ancora.

In Italia, per tornare al benessere, abbiamo bisogno di una visione nuova. Serve un governo europeo che regoli le dogane, all’insegna sempre del libero mercato ma con un atteggiamento di strenua difesa della nostra produzione. Questa strategia sarebbe una sorta di ritorno al passato, agli anni ’50 del boom economico e all’inizio della nostra storia, scommettendo su un Ercole Marelli che fonda la fabbrichetta, che assume Enrico Fermi e che dà lavoro a generazioni di operai, garantendo loro stipendi adeguati.

Serve un governo europeo che difenda la produzione. Altrimenti saremo sempre più poveri.

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