Gli italiani che lavorano in Svizzera guadagnano molto di più che nel Belpaese, questo è risaputo. Un gap nello stipendio di circa il 70% che, al netto del potere d’acquisto, spinge molti lavoratori a varcare il confine in cerca di condizioni vantaggiose, anche al punto di spostare la propria residenza pur di approfittarne. Questo trend giustificherebbe dunque l’introduzione di una vera e propria tassa di soggiorno sugli immigrati, secondo il professor Reiner Eichenberger, noto economista elvetico con cattedra all’Università di Friburgo.
Dai suoi calcoli, la cifra giusta da chiedere per chi s’installa in Svizzera oscilla da un minimo di 5mila franchi a un massimo di 30mila, cioè dai 6mila ai 32mila euro, in base all’imponibile dichiarato. Tutto ciò «per un periodo che spazia dai tre ai cinque anni dopo il trasferimento», con sconto del 50% per i frontalieri, perché utilizzano solo una parte delle infrastrutture rossocrociate. «Chi viene da noi gode di un aumento enorme del benessere personale ed economico – ha spiegato Eichenberger – quindi è giusto che versi una somma di compensazione».
La sua ipotesi poggia sul fatto che, come ha dichiarato al Corriere del Ticino, «già in questo momento la rapida crescita della popolazione comporta enormi problemi in termini di scarsità di terra, infrastrutture, scuole, ospedali, approvvigionamento alimentare ed energetico, inquinamento». Una questione che per ora sarebbe eccessivamente trascurata: «La maggior parte dei politici ragiona a corto termine. Vedono che l’economia è in crescita, dunque pensano che vada tutto bene. Ma in Svizzera abbiamo risorse limitate. Pertanto, non dovremmo continuare a riempire il Paese di immigrazione gratuita per poi accorgerci a un certo punto che non c’è più spazio».
Il ragionamento dell’economista zurighese punta a trarre dall’immigrazione benefici per i propri concittadini, e a creare una sorta di selezione qualitativa, istituendo un obolo giornaliero da aggiungere alle normali tasse: «La crescita quantitativa – ha affermato Eichenberger – avvantaggia solo le grandi aziende che hanno un certo potere monopolistico o che operano in mercati chiusi. Per UBS, l’1% in più di popolazione significa l’1% in più di fatturato. Per la grande distribuzione e le aziende farmaceutiche, idem». Ma il benessere delle persone non va di pari passo con questi interessi.