Fabio Lunghi promuove la città unica Busto-Gallarate: «I giovani sono meno campanilistici di noi, facciamola per loro»

Fabio Lunghi, imprenditore, già presidente della Camera di Commercio di Varese e fondatore dell’associazione Concretamente, cosa pensa della proposta di Marco Reguzzoni di fondere le città di Busto Arsizio e Gallarate?

«Ritengo che l’idea dell’accorpamento istituzionale sia più che valida. Porterebbe un sacco di vantaggi e l’ospedale unico è solo il punto di partenza di quanto potrebbe accadere. D’altronde i nostri territori sono già adesso urbanisticamente una cosa sola».

Vede solo cose positive nell’unione?

«Da imprenditore non ho dubbi. Semmai mi sembra meno immediata l’ipotesi di fare una Provincia differente. Potrebbe essere uno step successivo, ma non lo ritengo indispensabile. Anzi, creerebbe un derby controproducente. Non a caso Reguzzoni non ha mai spinto su una nuova Provincia, bensì sulla fusione».

Ma, nel pratico, quali effetti positivi si aspetta?

«Una città così grande ottimizzerebbe servizi e risorse. Oltretutto arriverebbero tanti soldi in più dallo Stato e ragioneremmo con progetti degni della terza città della Lombardia. Per questo non starei a toccare equilibri delicati come quelli di una Provincia. Guarderei ad altre prospettive».

Ce ne dice un paio?

«Una riguarda il potenziamento dei sistemi pubblici di trasporto che potrebbero solo migliorare. Poi c’è un altro aspetto che mi intriga e riguarda il peso che potremmo avere su Malpensa e il suo indotto. Oggi contiamo troppo poco».

Ma lei non teme che alla fine prevarranno i campanilismi?

«Sono gallaratese da sempre, legato alla mia città, però mi sento cittadino del mondo e vedo quando un territorio assume respiro. I campanilismi, ovunque, sono un limite allo sviluppo. Le tradizioni, invece, sono un valore e vanno conservate. Se si facesse la fusione, le identità rimarrebbero, ma nuove potenzialità economiche e strategiche emergerebbero. Tant’è che c’è anche una riflessione generazionale da fare».

Vale a dire?

«Il nostro dovere è pensare ai giovani e sentire la responsabilità di consegnare nelle loro mani una società migliore. Così, di fronte alla possibilità di unire le due città, cosa è giusto fare per il loro bene? I nostri ragazzi sono meno campanilistici degli adulti e siamo certi che direbbero di no? I cittadini del domani non preferirebbero che chi li ha preceduti avesse lavorato per costruire un luogo più aperto e innovativo? Queste sono le domande chiave».

Lei Lunghi ha conosciuto la politica e sa che non sarà facile raggiungere il risultato…

«Ho seguito il dibattito e, da un lato ho visto il pragmatismo degli imprenditori, dall’altro una certa politica arroccata sulla tutela di interessi consolidati. Ma un’associazione come quella dei Repubblicani serve proprio per fare una politica di un altro livello, sganciandosi dalle convenienze del momento. Io ho aderito a questa realtà proprio perché ritengo che possa far maturare proposte intelligenti, diffonderle, discuterle, affinarle e dar loro una forma progettuale. Poi, ovviamente, l’obiettivo di una fusione deve entrare nel desiderio dei cittadini, in modo che la approvino democraticamente. Il nostro compito è rappresentare un movimento d’opinione che stimoli tutti a trovare il coraggio per compiere quel passo».

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