Come dice nel suo bel libro Marcello Veneziani, oggi viviamo in una società di “scontenti”.
Non di arrabbiati, perché per avere rabbia è necessario avere un nemico, e quello che è poco chiaro è proprio chi sia il nemico.
I politici si insultano nei talk show, tutto pare gridato e al contempo semplice come un post su Facebook e rapido come su Twitter o in un video di dieci secondi su Tik Tok. Ma il mondo reale non è così semplice e il popolo è meno scemo di quanto si creda.
In fondo sappiamo bene che un governo eletto non è per niente “sovrano”, cioè non è libero di comandare a suo piacimento. Nonostante gli elettori gli abbiano data la maggioranza, chi comanda davvero non sono premier e ministri, non deputati e senatori.
Esiste un “ceto dominante” e oggi, nonostante la nostra dovrebbe essere una democrazia liberale, il ceto dominante non è quello politico, ma sono le élite burocratiche e della grande finanza. Un ceto dominante non visibile, non esposto, che non ostenta simboli di potere e non dà il proprio nome a una legge o a una banca, si nasconde, sfugge alle leggi e al fisco, ma soprattutto all’opinione pubblica: per quella ci sono i politici, carne da macello mediatica.
Una classe politica che – a parte poche eccezioni, tra cui qualche ministro e la premier – è fatta di gente di scarso valore e dubbie capacità. Raccolta in movimenti che non sono partiti di massa, ma gruppi abbarbicati attorno al proprio leader. Partiti deboli, debole la politica.
Chi comanda sono invece due poteri forti e sempre più saldi: la finanza e la burocrazia. Due lati della stessa medaglia, due sistemi legati indissolubilmente.
I grandi finanzieri si fanno forza della mobilità delle enormi masse di denaro, della BCE che può operare senza un governo europeo che la controlli, delle istituzioni finanziarie internazionali (FMI, banca Mondiale), dell’impunità e della assenza di tassazione nei paradisi fiscali.
I burocrati rendono possibile il potere finanziario, negli Stati si sostituiscono ai politici e in Europa controllano l’Unione, vero e proprio potere “Buro” e non “Demo”cratico.
Le macchine degli apparati statali, incluse Rai e aziende di stato, sono oggi dominate da funzionari appartenenti a un numero limitato di famiglie, spesso imparentati tra loro e che si scambiano ruoli e funzioni cooptando propri figli e parenti, godendo di lussi e privilegi. Una élite che non si compromette con i social o le televisioni, agisce nell’ombra dei politici di turno ma comanda i politici e non viceversa.
Ma il problema più grave è che la “casta”, oltre a vivere nel lusso, usa i soldi dei contribuenti per creare masse enormi di soggetti parassitari che legittimano il sistema con il loro appoggio, senza mettere in discussione lo status quo. Naspi, reddito di cittadinanza, le solite leggine per falsi invalidi, forestali, un numero spropositato di bidelli…
Un costo per le finanze dello stato utile solo al predominio della Buro-crazia, che assume e gestisce concorsi ed ha il potere legittimo di farlo, un che negli ultimi dieci anni – senza un governo eletto – è stato senza limiti.
Oggi un governo c’è, ci sono personalità con grande esperienza politica e capacità sufficienti per imporsi al ceto dominante, per iniziare un percorso di riforma vera e propria. Non abbiano paura delle riforme, di dire no ai potenti burocrati, direttori di ministero e segretari generali. E se dicono un no, lo facciano sapere.
Anche se a Roma non si considera “politicamente corretto” rendere note le posizioni di segretari generali e direttori ministeriali, lo facciano: mostreranno forza. Ci permetteranno di capire perché non si riesce a riformare il sistema. Solo mostrando forza potranno sopravvivere e riformare il Paese.
Se mostrano debolezza faranno la fine ingloriosa dei molti che li hanno preceduti. Sarebbe un peccato, e rimarremmo tutti sempre scontenti.