Nicola Mucci: «Due mandati da sindaco sono un tempo ragionevole per realizzare i progetti. Poi basta»

Sull’ipotesi di eliminare il limite di due mandati per i sindaci di città oltre i 5mila abitanti e per i presidenti di Regione ferve il dibattito. Anche Nicola Mucci, che per dieci anni ha guidato l’amministrazione civica di Gallarate, esprime il proprio pensiero che, a differenza di quello del collega Gigi Farioli, è contrario alla modifica della norma.

«In questi giorni molti autorevoli esponenti politici sono intervenuti sugli organi di informazione sostenendo la necessità di eliminare il vincolo di ineleggibilità di alcune cariche istituzionali, fra i quali molti sindaci, oltre il secondo mandato consecutivo.

La ragione, in grande sintesi, è quella che i partiti hanno sempre maggiori difficoltà nel trovare persone all’altezza di tale compito.

Devo francamente esternarvi la mia contrarietà a questa proposta. Per una serie di ragioni.

L’elezione diretta del sindaco è stata introdotta molti anni fa dal ministro Bassanini, abile e intelligente esponente politico del Partito democratico. 

Occorre infatti riconoscere che tale riforma fu estremamente efficace, ha conferito stabilità amministrativa agli enti locali e ha armonizzato l’esigenza di garantire governabilità ed efficacia dell’azione amministrativa, attribuendo maggiori poteri agli organi esecutivi di Comuni e Province.

La ratio della riforma era quindi quella di far evolvere una carica istituzionale da un ruolo eminentemente politico a quella di un vero amministratore più vicino a caratteristiche di un manager di impresa che quelle di un politico vecchia maniera.

La riforma introduceva adeguati compensi, via via crescenti nel corso degli anni affinché le migliori risorse umane del Paese potessero decidere di impegnarsi nell’amministrazione pubblica sacrificando parzialmente il proprio lavoro privato o di impresa.

A questa innovazione si affiancava il primo tentativo di applicazione del così detto spoil system. Infatti, per la prima volta veniva creato un albo nazionale dei segretari generali degli enti pubblici ove attingere con scelta diretta da parte del capo dell’amministrazione il vertice dirigenziale dell’ente pubblico. Esperimento che avrebbe dovuto condurre a una più ampia riforma in grado di far finalmente ruotare i dirigenti di comuni e province decretando la fine della inamovibilità di un apparato burocratico che rischiava di essere prevalente, nell’esercizio delle proprie funzioni, rispetto alla politica ed alle scelte dei cittadini elettori.

Ebbene, questo spirito profondamente innovativo si è spento nel corso degli anni.

Gli amministratori locali hanno visto bloccato, per ragioni di bilancio generale dello Stato le proprie indennità, risultando ad oggi gli esponenti istituzionali peggio pagati, a fronte delle loro incombenti responsabilità, mentre il processo di applicazione di un reale sistema di spoil system della burocrazia comunale, provinciale e regionale si è arenato.

Oggi abbiamo dirigenti pubblici che rimangono a ricoprire i propri incarichi dall’atto di assunzione presso l’ente locale sino al proprio pensionamento nel medesimo Comune, Provincia o Regione.

Ritornando al tema principale del mio intervento, ovvero quello del così detto terzo mandato, continuo a ritenere, rispondendo allo spirito della riforma Bassanini, che due mandati consecutivi siano un ragionevole lasso di tempo nel quale trovare applicazione alle idee e ai programmi di un sindaco, presidente di Provincia o presidente di Regione.

Non possiamo consentire, così come accade per un manager di una azienda privata, che la propria persona e le proprie idee diventino identificative e prevalenti rispetto alla naturale evoluzione di una azienda o ancor peggio di una comunità pubblica.

Se poi questa scelta viene imposta dal fatto che non ci sono più persone che vogliono fare il sindaco, abbiamo l’obbligo di non confondere le cause con gli effetti. 

Non ci sono più candidati sindaci o amministratori pubblici perché la politica non è più percepita dalla opinione pubblica come luogo decisorio, rimanendo di fatto in subordine rispetto ad economia e finanza.

Le nuove generazioni non vogliono occuparsi più delle proprie comunità perché hanno percepito il ruolo subalterno della politica rispetto a un mondo nel quale burocrazia pubblica e finanziaria esercitano ruoli prevalenti e decisivi sulla qualità della vita del cittadino.

Spetta a noi tutti e alla associazione “I Repubblicani” invertire questa rotta, restituendo alle nostre istituzioni una primogenitura della politica utile alla definizione di un Paese realmente democratico e liberale».

Nicola Mucci

(già sindaco di Gallarate)

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