A pochi giorni dalla Giornata contro la violenza sulle donne (che cade il 25 novembre), le notizie di cronaca tratteggiano di nuovo un quadro drammatico su questo fronte. Ora, nel tentativo di andare alla ricerca di soluzioni concrete, anche i componenti dell’Associazione politica I Repubblicani si stanno interrogando sulla questione. In particolare due donne che fanno parte del direttivo – Annamaria Martelossi (già presidente del consiglio provinciale varesino) e Arianna Miotti (assessore ad Arcisate) – hanno deciso di affidare alcune riflessioni a una lettera aperta che hanno scritto assieme. Eccola.
«Maria è una donna come tante. Un marito, tre figli, tanti lavoretti che non fanno uno stipendio come si deve, un suocero a cui badare, qualche amica vera. E un marito violento. “Non è colpa sua, è nervoso, ha fatto due guerre” lo giustifica lei con le comari del cortile. Perché siamo nel 1946, e se suo marito la picchia perché si alza di cattivo umore, perché qualcosa lo infastidisce o perché gli gira, nessuno può dirgli nulla. La legge non glielo proibisce e c’è una mentalità diffusa che glielo permette. Mogli che subivano anche perché non avevano scelta.
Negli anni, lentamente, le norme sono cambiate; dal 2019 la legge “codice rosso” ha istituito corsie preferenziali per i maltrattamenti in famiglia e i reati di stalking. Ma ancora non basta perché la violenza contro le donne rappresenta un importante problema di sanità oltre che una violazione dei diritti umani e di discriminazione. Non occorre aspettare i dati, che puntualmente escono il 25 novembre in occasione della giornata contro la violenza, per sapere che molte donne vivono ancora situazioni di abuso, e spesso sono giovani.
Recente, per esempio, è la notizia che il trapper Gallager (Gabriele Maggi, 29 anni) è stato arrestato con l’accusa di maltrattamenti e lesioni alla fidanzata, che avrebbe aggredito anche durante la gravidanza. Un altro fatto grave che si aggiunge all’uccisione di Giulia Cecchettin. Ormai è un problema di salute di proporzioni enormi. Gli interventi correttivi utili e necessari solo se verranno associati all’autentica prevenzione: quella culturale e educativa, a cominciare dalle scuole.
Le donne perdono la forza di volontà, hanno paura a denunciare, si pensano “non normali”. Un atteggiamento di negazione del maltrattamento. È un processo difficile e faticoso che spesso genera molte sofferenze, perché uscire allo scoperto significa dichiararlo agli altri.
Chiediamo e vogliamo che le panchine rosse non siano semplicemente un simbolo. Invitiamo gli amministratori locali a un cambio di prospettiva e mirare gli interventi sulle cause da cui generano le violenze, quali ad esempio l’implementazione dell’assistenza psicologica diffusa sul territorio in sinergia con i servizi istituzionali e le strutture associative del privato sociale».