Perché un sindaco, in un Comune con popolazione superiore ai 5mila abitanti, oppure un presidente di Regione non devono potersi candidare per un terzo mandato? Se il primo cittadino o il governatore uscenti sono graditi ai cittadini per il lavoro che hanno svolto, perché gettare alle ortiche bravura ed esperienza? Oppure hanno ragione coloro che chiedono di mantenere il limite dei due mandati, giudicando necessario (nonché prudente) un ricambio della classe dirigente, con vantaggi in termini di stimoli, idee, efficacia ed efficienza?
Il dibattito è aperto e, specie negli ultimi mesi, si è fatto incandescente. Da più parti sono giunti appelli per modificare le norme: ha confermato l’ipotesi il ministro Giancarlo Giorgetti e la stessa ANCI, ovvero l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, non ha nascosto di considerare più che mai necessario un abbattimento del muro temporale di reggenza che vige dal 2000.
Fu più di vent’anni fa che la modifica di legge, inglobata nel Testo unico degli enti locali, fissò in due consiliature quinquennali consecutive il percorso più lungo possibile per chi veniva chiamato a guidare un’amministrazione comunale. Nel 2014, il limite è stato modificato per i Comuni sotto i tremila abitanti, mentre nel 2022 l’opzione è stata estesa anche ai sindaci dei municipi con una popolazione che ha sino a 5mila iscritti all’anagrafe. Ma per le città più grandi e importanti, il tetto rimane.
Lo stesso è per le Regioni: quasi tutte hanno adottato il criterio dei due mandati e ci sono pronunciamenti giuridici che vanno in tal senso. Eppure, specie adesso che moltissime giunte stanno per prepararsi alle elezioni nel 2025 e gli attuali governatori non sarebbero ricandidabili, è partito un pressing per modificare la legge. In ballo ci sono personalità di ogni schieramento politico e, quindi, l’istanza sta assumendo contorni bipartisan.
Giusto o sbagliato? Difficile da dire, anche guardando a quanto il tema sia divisivo all’interno degli stessi partiti. Negli ultimi tempi, il dibattito ha ripreso forza. Sono gli stessi sindaci e governatori a sostenere la necessità di cambiare le norme, argomentando la richiesta con ragioni di continuità amministrativa, dichiarandola più che mai consigliabile (sempre che i cittadini lo vogliano) considerando la spesa delle cospicue risorse inserite nel PNRR. Va anche detto che si tratta degli unici incarichi con limiti di questo tipo, visto che per i parlamentari non ci sono tetti di mandati. Alcuni dei politici coinvolti hanno già annunciato che si ricandideranno comunque, sicuri di poter vincere qualsivoglia ricorso.
Inutile dire che spesso le posizioni sull’argomento sono condizionate anche da interessi di parte, nel senso che un sindaco o un governatore uscente godono quasi sempre di largo consenso, derivato dai contatti che hanno potuto costruire; quindi, questo è un vantaggio che chi lo possiede vuole sfruttare e chi si presenta da avversario vorrebbe cancellare.
A spingere per il terzo mandato ci sono anche quei partiti che negli ultimi tempi hanno perso voti e che solo riproponendo gli uscenti hanno possibilità sia di imporre il proprio candidato alla coalizione, sia di strappare i voti utili per vincere le elezioni.
Ultimo ma non ultimo, a incidere c’è il fatto che figure conosciute e popolari nelle grandi città e nelle Regioni sono guardate con sospetto da molti deputati, senatori ed europarlamentari del loro stesso partito perché, in caso di limite di due mandati confermato, si ritroverebbero a fare i conti con una temibile concorrenza interna durante le elezioni Politiche ed Europee.
Attualmente il 47% dei sindaci (di cui 5 di città metropolitane) e 7 presidenti regionali sono al secondo mandato. Che accadrà? Vincerà chi pensa che sia giusto premiare l’esperienza nei meccanismi amministrativi e togliere il vincolo oppure chi teme una sorta di assuefazione al ruolo che rende meno incisiva e innovativa l’azione dei riconfermati?
La Corte Costituzionale, per quanto riguarda i primi cittadini, ha detto che il limite di mandati rappresenta il punto di equilibrio necessario per bilanciare l’eccessiva concentrazione di potere detenuta da chi guida un municipio. Anche questo è un elemento da considerare. Ma la maggioranza dei sindaci, dal canto proprio, ha sempre ritenuto un divieto ingiustificato quello di non poter restare al servizio dei cittadini che li votano.
Ciò che pare certo è che la questione è slegata dalle ideologie ma apre a ragionamenti diversi, spesso riferiti anche alle vicende specifiche – positive o negative che siano – vissute nei singoli territori. In ogni caso, si tratta di un tema non solo caldo, ma anche rilevante per determinare l’efficienza degli enti locali, che restano il fulcro della nostra comunità e da cui passano molte delle decisioni fondamentali che hanno ricadute dirette sui cittadini.