Lo scorso 29 novembre è morto Henry Kissinger, ex segretario di stato degli Stati Uniti che aveva da poco compiuto cent’anni. I libri di storia racconteranno il suo ruolo di promotore di una politica estera aggressiva e dominante da parte degli Stati Uniti. Qui il ricordo che Marco Reguzzoni, presidente dei Repubblicani, ha scritto per il quotidiano “La Verità”, partendo dall’incontro avuto ai tempi in cui guidava la Provincia di Varese, più di quindici anni fa.
«Henry Kissinger era una tigre del Bengala nel corpo del nonno della porta accanto.
Lo conobbi durante una riunione del Bilderberg group, organizzata da Alfredo Ambrosetti a Santa Caterina del Sasso, l’eremo che rappresenta il gioiello della Provincia di Varese.
Giovanissimo presidente della Provincia, ero un po’ il padrone di casa e senza rendermi conto – pieno dell’ardore leghista di quei tempi e di un insano coraggio tipico della gioventù – lo importunai per tutto il tempo della visita e del pranzo contestando quasi tutte le sue posizioni politiche.
Sull’ingresso della Turchia in Europa – all’epoca argomento di grande attualità – e sul commercio con la Cina che stava iniziando a impoverire l’intero occidente.
Lui era accompagnato dalla regina d’Olanda – che aristocraticamente si limitava a sorridere e annuire qua e là – e dal Ministro dell’economia turco, giovane rampante e battagliero come me con il quale la conversazione non tardò ad accendersi.
Uomo amabile e dalla conversazione colta e piacevole, “Henry” come insisteva per essere chiamato, discuteva sornione, con guizzi da tigre negli occhi qua e là che mi sconcertavano, sopportando amabilmente le mie critiche e invettive.
Lasciava volentieri al suo amico turco l’onere di controbattere, infilando spesso battute taglienti. Anche nella conversazione, l’arte della guerra di Sun Tzu: usava il suo amico per combattere il nemico, perché “Il meglio del meglio è sottomettere il nemico senza combattere.”
Voleva la Turchia in Europa per indebolire il fronte dei paesi arabi mediterranei, sosteneva.
La voleva in realtà per indebolire l’identità europea, è l’impressione che mi fece.
Era nemico fiero dell’unità europea, Kissinger.
Fedele all’asse Cina – Stati Uniti, che fu il suo trampolino di lancio, e agli interessi di quell’élite finanziaria mondiale che è l’unica vera beneficiaria del trasferimento della produzione dall’Europa al colosso cinese. Ma soprattutto fedele a se stesso, al ruolo di grande manovratore che per mezzo secolo lo ha reso uno degli uomini più influenti del mondo.
In ogni caso, anche da posizioni opposte, un uomo di enormi qualità, come ne nascono pochi. Uno che ha sbloccato l’isolamento cinese aprendo il mondo alla globalizzazione come la conosciamo oggi. Da consumatori abbiamo beneficiato di questo enorme commercio, ma senza una vera Europa che governasse il processo abbiamo perso ricchezza a favore di chi ha trasferito la produzione nei paesi asiatici, sfruttando il basso costo della manodopera e distruggendo intere filiere produttive.
In tanti diranno che la scomparsa di Kissinger chiude un’epoca.
Speriamo di sì, che sia finita l’epoca dei dividendi miliardari delle multinazionali che trasferiscono la produzione in Cina e mettono in ginocchio il lavoro europeo».