Investire in formazione è una delle missioni chiave del futuro. Il Paese ha bisogno di persone preparate, aggiornate, qualificate. E servono insegnanti all’altezza del compito.
Non una sfida facile da attuare nella realtà italiana, dove il modello scolastico è ancorato a presupposti datati, difficili da scalfire, su cui si sono innestate lodevoli sperimentazioni ed eccellenze, senza però modificare dalla base l’idea di scuola e il valore che le viene attribuito.
Gli insegnanti, in questo senso, rappresentano la cartina di tornasole di una situazione da sistemare, cambiando una mentalità per cui ci si accontenta e contro la quale si stanno compiendo le prime mosse. In un Belpaese che vive ancora sul miraggio del posto fisso, il livello dei professori sconta le difficoltà intrinseche esistenti nel fornire competenze adeguate a chi deve prendersi carico di giovani sempre più complicati. Una scuola poco specifica e quasi mai stimolante crea essa stessa una percentuale troppo alta di educatori demotivati, se non mediocri.
Anche gli stipendi posizionano l’insegnamento in una fascia non attrattiva, quasi che la busta paga “moderata” venisse compensata dall’idea che non sia un lavoro faticoso, quando invece dovrebbe essere una delle risorse più preziose per il futuro. E con ciò si crea il corto circuito di una realtà scolastica in cui chi si impegna nel crescere le nuove generazioni non vede ripagata meritocraticamente la propria fatica e chi s’imbosca nei contesti pubblici riesce spesso a barcamenarsi.
Un professore italiano prende in media poco meno della metà di un collega tedesco. In Germania il percorso per l’abilitazione è per molti aspetti più lungo e difficile, ma al traguardo si riceve adeguata ricompensa e l’inserimento in contesti molto più organizzati dei nostri, anche grazie alla gestione federale della scuola, affidata ai Lander.
Se un italiano guadagna in partenza 26mila euro lordi di media, un insegnante tedesco tocca i 62mila euro, oltretutto con una successiva crescita dello stipendio più marcata. Francia e Spagna hanno emolumenti di circa il 25% più alti dei nostri. Il top è in Lussemburgo, dove si arriva al triplo. Se ci si vuole consolare: i professori greci prendono la metà, quelli albanesi un terzo. Ma non dovrebbero essere quelli i metri di paragone. Non in una scuola così decisiva per consentire all’Italia di rilanciarsi.