La Cina oggi fa molta più paura perché, all’aggressività della sua economia, abbina un atteggiamento statale protettivo, pronto a spalleggiare in ogni modo l’invasione dei nostri mercati con sussidi continui e controllo delle materie prime. I cinesi spaventano perché sono tecnologicamente pronti, ambientalmente indifferenti, socialmente sottomessi a una ragion di Stato che ha instaurato un monopolio e riesce così a presentarsi con prezzi stracciati in ogni segmento.
Ma gli economisti mondiali sono concordi: il Dragone sta andando incontro a una fase di arresto della sua cinquantennale espansione e invece, alle sue spalle, con una crescita vertiginosa e inarrestabile, si staglia l’India.
Alla base di questa tendenza ci sono fattori comuni, come le regole antinquinamento ridicole rispetto a quelle vigenti in Europa e una gigantesca disponibilità di risorse umane da impiegare nella produzione, tenute alla fame e lasciate senza tutele.
Ma per spiegare il fenomeno in atto, c’è dell’altro. Gli indiani sono molto più giovani dei cinesi. La loro età media è di soli 28.4 anni, esattamente dieci in meno dei cinesi (38.4), mentre la popolazione continua ad aumentare, tanto da aver attuato il sorpasso a quota 1,4 miliardi di abitanti.
Questo significa diverse cose: la prima è che nel 2030 la popolazione indiana in età da lavoro crescerà di 100 milioni di unità rispetto ad oggi, mentre gli asiatici perderanno 40 milioni di addetti, al punto da aver sciolto le regole di contenimento della natalità per sostituirle con incentivi a chi fa figli.
Con meno anziani a carico, anche il costo statale sociale in India è più basso, consentendo di investire in impresa e tecnologia. Tant’è che il PIL dell’economia reale di Nuova Delhi nel 2023 è stato del +6% e promette di restare tale nei prossimi anni, mentre la Cina ha chiuso al +5% e dovrebbe contrarsi.
L’India, è vero, risulta molto più arretrata della Cina. Ma proprio per questo la sua economia ha distese sterminate su cui poter correre davanti a sé. Se il predominio in ambito tessile è ormai acclarato (lo sanno bene le aziende italiane, distrutte in massa anni fa da questo primo nemico sleale, lo stesso sta accadendo sul fronte delle ceramiche), oggi il primo ministro Narendra Modi sta favorendo l’implementazione tecnologica e la costruzione di infrastrutture, proprio per attrarre gli investitori internazionali.
Gli indiani, rispetto ai cinesi, sono molto più poveri. La cosiddetta classe media è minuscola rispetto al potenziale. Ciò li rende affamati, pronti cioè a favorire una politica dei salari minimi e dei prezzi bassi, per una lotta al ribasso che rischia di travolgere chi nel mondo non riesce a reggere il confronto. Le risorse energetiche non mancano, il loro uso sbarazzino in termini ambientali è risaputo.
Così l’Unione Europea rischia di essere a breve cannibalizzata da un’altra e più potente ondata di concorrenza indiana, sleale e ambiziosa, che oggi si nutre della competizione con il Dragone per essere ancor più aggressiva di prima.
Senza riconquistare autorevolezza politica e senza scelte decise sui dazi per contrastare chi vuole imporsi sui mercati inquinando a più non posso e violando diritti di ogni genere, l’Europa rischia davvero di subite il colpo di grazia.