Il massimo produttore mondiale di rame è il Cile, con un’impennata di estrazioni del 10% all’inizio di quest’anno e capace di coprire un quarto del mercato mondiale. In buonissima posizione c’è il Congo, altro detentore di una bella fetta di questa preziosissima materia prima. Poi ecco l’Indonesia, che è fra i massimi esportatori internazionali e vorrebbe cominciare a raffinare il prodotto grezzo da sé.
Per adesso, a fare il bello e il cattivo tempo resta però ancora una volta la Cina, che è allo stesso tempo maxi-lavoratrice di rame per una serie sterminata di utilizzi e super-consumatrice per i propri bisogni nazionali. L’industria interna prolifera, anche con leggi poco incisive rispetto all’Occidente in termini di ecologia e tutela dei lavoratori, con inevitabili ricadute sulla competitività dei prezzi.
Le ultime mosse compiute dal Dragone su questo strategico fronte hanno messo in allarme l’Europa, perché nel paese asiatico si è deciso di tagliare la produzione di rame di almeno il 5% e questo ha comportato un aumento del suo valore sui mercati. I Paesi UE, che hanno bisogno del rame, non hanno potuto far altro che mettere mano al portafoglio.
Da parte di Bruxelles non ci sono d’altronde contromosse rilevanti attuabili in tempi brevi: in assenza di giacimenti importanti e di accordi d’acquisto con i principali Paesi estrattori, e trovandosi viceversa nella necessità di soddisfare il fabbisogno del cosiddetto “oro rosso” per svariati usi, ecco che il Vecchio Continente sta subendo (com’era avvenuto per la grafite) gli scossoni decisi dalla Cina senza colpo ferire.
Questo processo in atto è stato analizzato in tutti i suoi risvolti in un puntuale approfondimento di Sergio Giraldo su «La Verità», a cominciare dalle difficoltà nell’individuare nuovi rilevanti luoghi d’estrazione. Un report che si sintetizza così: «La Cina innesca la guerra del rame e Bruxelles è di nuovo disarmata».
L’attenzione su questo argomento è anche accentuata dal fatto che le politiche europee del Green Deal hanno puntato parecchio sul rame, rendendolo essenziale. Già questo aveva fatto innalzare i prezzi.
Ma se dall’Asia insistono nel tagliare la produzione, la speculazione andrebbe a farsi sentire ancor più pesantemente, un’altra volta.
Gli Stati Uniti si sono difesi da questo attacco finanziando la costruzione di fabbriche di raffinazione delle materie prime alternative, potendo anche contare su numerosi giacimenti. L’Europa invece è sguarnita e si muove molto più lentamente. Restando in balia dell’aggressività cinese.