«Da sempre, in Italia, il comparto del tessile è un fiore all’occhiello. Per capirne il valore, basta pensare ai numeri e alla forte presenza di aziende di qualità su tutto il territorio. Senza spostarsi dall’attualità, nonostante la crisi, il tessile italiano riesce a fatturare 93 miliardi di euro all’anno. Se si considera che il 70% arriva dall’export – circa 68 miliardi – è ancora più evidente l’importanza di questo settore, capace di dare lavoro a 545 mila addetti divisi in più di 60 mila aziende».
L’analisi di Marco Reguzzoni, presidente dei Repubblicani e promotore della Legge 55 del 2010 per la tutela del manifatturiero italiano (attraverso l’introduzione di norme stringenti su etichettatura e tracciabilità dei prodotti), serve per chiarire quanto sarebbe importante rilanciare i principi base di un documento approvato, ma purtroppo mai applicato.
«L’importanza del settore tessile – rimarca Reguzzoni – chiarisce perché quello che è appena successo alla Giorgio Armani Operations, accusata di caporalato, sia una pessima notizia per l’intero comparto. Un danno di immagine sconveniente per un brand storico e una icona di Milano».
Ecco allora che, dalla sala conferenze di Montecitorio, Reguzzoni ha voluto rilanciare quella sua storica battaglia (di cui anche Deborah Bergamini di FI e Francesco Bocci del Pd furono firmatari), declinandone le prospettive al contesto europeo: «Dobbiamo difendere i nomi della moda e le aziende tessili serie: lo si può fare solo a livello continentale. La legge Reguzzoni-Versace sulle etichettature deve essere portata in Europa, fatta diventare un regolamento europeo e quindi applicata. Sarebbe un regolamento capace di difendere la produzione dagli assalti sempre più sfrontati della concorrenza sleale di Paesi senza scrupoli».