Giancarlo Pagliarini, ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel primo governo Berlusconi, senatore per 4 anni e deputato per altri 10 con la Lega Nord (abbandonata nel 2007 perché non si parlava più di federalismo), ora portavoce di Alleanza per l’Autonomia, quanta fatica ci vuole per chiedere alle persone di votare Marco Reguzzoni in Forza Italia?
«Per il tipo di contatti che ho io, quando dico Reguzzoni ci impiego nulla a convincere i miei interlocutori a sostenerlo, mentre l’80% si blocca quando vede il simbolo da votare. E allora mi devo fermare a spiegare e chiarire. Li capisco, d’altronde io mi rivolgo a un elettorato che un tempo era tutto della Lega e che ancora si disorienta davanti a un nome come Forza Italia. Ma poi illustro che Marco è un indipendente, che oggi i forzisti sono gli unici che aprono al federalismo, che non avremmo combinato nulla stando da soli, oltretutto senza speranza di raccogliere le firme. E il problema pratico si supera».
Ma lei quando si è convinto che fosse quello di Reguzzoni il nome giusto?
«Ovviamente ci conosciamo e stimiamo da una vita. Poi un giorno ho letto il suo libro, “Vento di cambiamento”, e ne sono rimasto profondamente colpito. Così, quando ci siamo incontrati, gli ho fatto la domanda a bruciapelo: “Perché non ti candidi?”. Credo di averlo sorpreso, ma obiettivamente è un tipo forte, dinamico, che dice cose giustissime. Sono stato felice che si sia subito mosso in quella direzione, coinvolgendo gli altri di Alleanza per l’Autonomia. Mi è parso fin dal primo momento che avesse voglia di rimettersi in gioco e convincerlo non è stato poi così complicato».
Ma davvero tutto è cominciato da un libro?
«Assolutamente sì. Mentre lo leggevo, in certi punti pensavo di averlo scritto io. D’altronde è da sempre che vado in giro a dire molte delle cose che ha inserito. Non parlo solo dei grandi valori. Penso anche alla domanda che mi pongo da sempre sul perché il nostro parlamento debba essere costantemente e spesso inutilmente aperto, creando i politici di professione. Secondo me chi fa politica deve avere un suo lavoro. Il Parlamento di Berna non è aperto tutti i giorni dell’anno: non è necessario».
Così è diventato uno dei principali sponsor politici di questa avventura…
«Mi è venuto tutto così naturale. Al lancio della campagna elettorale di Reguzzoni a Varese, non potendo esserci di persona, ho mandato un video di cinque minuti e non ho dovuto neppure stendere un canovaccio o provarlo, da tanto ero coinvolto in quelle argomentazioni. E poi trovare qualcuno che, con la sua storia, ha il coraggio di scrivere “Forza Europa” mi è piaciuto un sacco».
Come mai?
«Perché che quella sia la strada ce lo dice il buon senso e ce lo confermano i valori in cui abbiamo sempre creduto. Chi oggi urla “meno Europa” è fuori dal mondo. Certo, ci vuole una UE organizzata meglio di così. Tuttavia, l’ho ripetuto più volte che magari Bruxelles ci rompe le palle su qualcosa, però Roma ci toglie il sangue e l’aria che respiriamo. Le vecchie copie della “Padania” sono piene di queste mie riflessioni. Roma è una tragedia: una dimensione fatta per i politici e non per la politica. Che triste vedere tutti questi che combattono non per far prevalere principi e idee, ma per riaffermare loro stessi».
Oggi chi ancora sogna il federalismo dove può andare a cercarlo?
«Purtroppo, mi sembra che nella “Salvini premier” non si parli più di federalismo. E mi spiace moltissimo: ho tanti ricordi, tanti amici, tanti affetti lì dentro. Santo cielo, non riesco a capire cosa sia successo. Io lo vedo attualmente in figure indipendenti come quella di Reguzzoni. Il punto è che serve avere anche una visione ampia degli obiettivi, perché il “mio” federalismo non è votato a una situazione di isolamento, ma è quello che si concretizza dentro un’Europa dei popoli federale che valorizzi le sue tante diversità».
Lei cosa pensa del gruppo di Forza Nord germogliato dentro Forza Italia?
«Non ne so tantissimo, Sulla carta mi fa piacere che ci sia chi porta avanti certe battaglie. Marco Reguzzoni, però, deve andare in Europa con l’idea di far funzionare meglio l’Europa, non concentrandosi solo sull’Italia o sul Nord. È il sistema complessivo che va cambiato, altrimenti i risultati saranno effimeri. Vede, io non sono come l’amico Roberto Castelli che ha voluto fare a tutti i costi un partito che avesse nel nome la parola Nord. Solo poche settimane fa Umberto Bossi ci ha detto chiaramente di fare un’associazione confederale, che peraltro già esiste e si chiama Alleanza per l’Autonomia. Mi sembra che adesso ne nasca un’altra con il Nord nella ragione sociale: bene, benvenuti, lavoriamo assieme per la riforma federale. Sia chiaro, che i nostri territori abbiano benefici sta a cuore anche a me, ma ritengo che sia inutile combattere in maniera parcellizzata. Bisogna aggredire un sistema generale che non funziona. Così, ho seguito Reguzzoni».
Ma lei, Pagliarini, da quando non è più in Lega l’ha mai votata Forza Italia?
«Mai. A 82 anni sarà la mia prima volta. Ma alle prossime Europee, eliminando la “Salvini premier” mi restavano due opzioni. Così, anche se ammiro Giorgia Meloni e la ritengo di un’altra categoria rispetto a quelli che le sono attorno, sento più vicina Forza Italia per le aperture che ha fatto nell’ultimo periodo. Comunque, Reguzzoni è anche lui un fuoriclasse. Se vivessi nel mondo dei sogni, vorrei sempre veder trionfare un partito federalista. Ci abbiamo anche provato a schierarlo alle elezioni, esplorando la strada con l’EFA (European Free Alliance) che in Italia è rappresentata da Roberto Visentin, una realtà peraltro già radicata in Europa. Ma per candidarci servivano le firme e non ce l’avremmo fatta a raccoglierle. E poi bisogna entrare a giocare la partita sui tavoli che contano, perché abbiamo capito che stare fuori non serve a nulla».
Lei pensa, come Reguzzoni, che la Lega abbia fatto un grande errore a Bruxelles e Strasburgo, chiudendosi per cinque anni all’opposizione?
«Più che altro, mi pare che abbia proprio stravolto i principi da cui tutti provenivamo, perdendo un’occasione storica. A me piace Reguzzoni perché è uno che ragiona, che fa proposte da discutere, che si mette in gioco sapendo di ricevere critiche, che non attacca mai le persone ma si confronta sulle idee. Cinque anni fa Matteo Salvini portò la Lega vicina al 40%. Se a quel punto, dopo aver trionfato parlando alla pancia degli italiani, avesse cominciato a dire le cose che oggi sostiene Marco Reguzzoni, ritrovandosi cioè in piena linea con i valori originari della Lega, sarebbe volato al 60%. Invece ha distrutto tutto. Oggi, paradossalmente, certi principi li trovi solo in Forza Italia. Non l’avrei mai detto, ma non avrò bisogno di turarmi il naso per mettere la croce su quel simbolo per aiutare Reguzzoni».