Parlare di immigrazione a mente libera. Alcune domande fondamentali

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“Le persone di destra mi fanno disgustare della destra, quelle di sinistra della sinistra. Di fatto, con un uomo di destra sono di sinistra, mentre con un uomo di sinistra sono di destra”.

È una frase di Cioran invecchiata benissimo. Alla luce di come viene vissuta oggi la politica (e non solo), non c’è periodo storico più adatto per immedesimarsi in questa affermazione.

Oggi, il boomer di destra e il giovane di sinistra hanno qualcosa in comune: nel loro cuore, in un angolino, c’è uno scaffale ben saldo di ideologie e luoghi comuni. Entrambi si confrontano con la realtà come se fosse un monolite da lavorare con lo scalpello di un’incrollabile etica personale. Si parla di migranti? Le opinioni sono soltanto due: “Rimandiamoli a casa, prima gli italiani”, oppure “Dobbiamo accogliere tutti, restiamo umani, tutto il mondo è paese”. Approfondimenti? Non sia mai. Dialogo civile? Superato, si veda il mantra popperiano portato all’estremo dai ragazzi woke, pronti a issare le loro red flag a ogni folata di vento. Conoscenza dei modelli di altri paesi? Il boomer di destra si limita a quella che gli è stata infusa dai film di Sergio Leone, mentre il giovane di sinistra attinge dalle serie di Netflix e dall’Erasmus in Spagna che gli ha fornito una grande saggezza in materia di feste e aperitivi.
Eppure, su tutti i temi divisivi, e su quello dell’immigrazione in particolare, si dovrebbe discutere in un altro modo. Anche perché di guerre oggi ce ne sono già abbastanza. Una maieutica nuova, quella sì aiuterebbe a dare alla luce idee realistiche incentrate su un vero progresso, che non si realizza né con i muri di Trump né con l’accoglienza acefala che fa da sfondo a un pensiero irenistico diffusissimo.
Quello che purtroppo manca per arrivarci, prima ancora delle risposte, sono le giuste domande, quelle che la gente non si pone mai. Eccone alcune, né di destra né di sinistra:

Quante persone possono ricevere un’accoglienza che permetta loro di integrarsi come si deve, considerando le risorse e la disponibilità di questo Paese? È vero che tutti i migranti scappano da guerre e carestie o sono solo una piccola parte? Se accolgo un uomo che poi resta abbandonato a sé stesso senza lavoro e conoscenza della lingua, faccio il suo bene o rischio di trasformarlo in un delinquente, alimentando dinamiche perverse come il razzismo e il pericolo nelle città?
E ancora: Qual è il modello di convivenza migliore per tutti, stranieri e italiani? Non sono forse anche io italiano un potenziale migrante? I miei trisnonni non erano anch’essi dei migranti? La xenofobia non alimenta il malessere degli stranieri che così sono discriminati e portati a delinquere ancora di più, alimentando la stessa xenofobia in un circolo vizioso?

Oppure: le banlieue francesi e inglesi sono auspicabili? L’accoglienza cattolica (e non) per sistemarsi la coscienza di occidentale-colono non porta con sé un razzismo inconscio e profondo? Come possiamo gestire la sicurezza nelle grandi città italiane come Milano, dove la stragrande maggioranza dei reati viene commessa da stranieri e seconde generazioni?

Per la sinistra, il problema non esiste; è una questione abbandonata completamente alla controparte, che cerca – spesso con scarsi risultati – di dare le sue risposte.
Chi scrive questo articolo non ne può più del bigottismo, del buon cuore come unico strumento per affrontare la realtà e dei programmi tv popolati da personaggi penosi che non hanno niente da dire. Che siano impresentabili fascisti di borgata, cantautori decrepiti o professoresse democratiche piene di sensi di colpa, lo spettacolo è sempre desolante.

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