La questione dell’autonomia – nonostante la vulgata comune – interessa più ai giovani, ed in particolare a quelli del Sud, che a tutte le altre categorie coinvolte: può sembrare un paradosso ma i numeri parlano chiaro.
In base ai dati a disposizione[1], il residuo fiscale delle regioni del Nord ammonta all’astronomica cifra di 73 miliardi di euro, un trasferimento che non ha eguali in nessun altro Stato europeo.
La ricca Baviera – ad esempio – trasferisce altrove “solo” 1,5 miliardi, mentre la Catalogna – che per questo motivo vuole addirittura secedere dal regno Spagnolo – ha un residuo di 8 miliardi di euro.
Ma i numeri aggregati non danno il senso di quanto succede davvero: meglio utilizzare i valori “pro-capite”, cioè i dati per ciascun abitante delle varie regioni, compresi neonati ed anziani.
Si vede, ad esempio, che un lombardo versa ogni anno circa 5.000 euro in più di quanto riceve, un veneto 2.300 euro, un abitante dell’Emilia- Romagna circa 3.100 euro. Per contro, un calabrese dovrebbe ricevere 5.500 euro in più di quanto paga, un siciliano 3.500, un campano 2.500 euro l’anno. “Dovrebbe” infatti, ma in realtà non riceve direttamente poiché la struttura centralista delle finanze statali “brucia” questo denaro che non arriva a destinazione ma si perde in mille rivoli.
In particolare, per usare le parole di un “padre fondatore” del principio regionalista – Don Sturzo – queste risorse dovrebbero utilizzate per “comprare canne da pesca, non pesci” mentre invece in molte regioni si spende in assistenzialismo improduttivo.
La spesa per investimenti in Campania – ad esempio – è di soli 765 euro pro capite, neanche il 10% del totale: il resto se ne va in spesa corrente, spesso assistenziale.
Ma chi subisce il maggior danno da un simile meccanismo? Naturalmente i giovani, e quelli del Sud in particolare.
Prendiamo un giovane di 30 anni, inserito nel mondo del lavoro, che intende metter su famiglia. Se abita a Milano, ha già pagato 150.000 euro di tasse in più (5.000 euro l’anno di residuo fiscale negativo moltiplicato 30 anni). Ma se abita a Napoli, dovrebbe aver ricevuto 75.000 euro di servizi in più rispetto a quanto versato in tasse (2.500 euro per 30 anni): una cifra considerevole, corrispondente al costo di costruzione di un appartamento !
Purtroppo però questi soldi non sono andati in infrastrutture e investimenti, ma sono semplicemente stati spesi, senza aver nessun miglioramento delle prospettive future. Cosa accade dunque spesso? Un giovane napoletano magari si trasferirà a Milano, dove inizierà a versare più soldi di quanto riceve e faticherà a trovar casa, mentre il suo coetaneo continuerà a vivere a Napoli a casa dei genitori continuando a non ricevere servizi adeguati.
Questa situazione si protrae da decenni, e senza cambiamenti radicali continuerà ancora per molto tempo, penalizzando i giovani del Sud che continuano ad avere minori prospettive economiche, e gravando sui giovani residenti al Nord, che con 150.000 euro di tasse in meno avrebbero la possibilità di comprarsi casa e metter su famiglia, mentre invece oggi annaspano tra mille difficoltà.
L’autonomia serve invece a spostare il flusso dei soldi in tre direzioni:
1. Attraverso la maggiore efficienza delle regioni, più vicine alle esigenze dei cittadini rispetto allo Stato, far diminuire i costi di alcuni servizi o aumentarne la qualità a parità di costi.
2. Aumentando la responsabilità degli amministratori locali, evitare che vi siano spese “a pioggia” e improduttive, generando miglior efficacia.
3. Spostare l’asse dalla spesa corrente alla spesa per investimenti, ed in tal modo dando una prospettiva di crescita reale ai giovani che vivono nei territori meno ricchi.
In particolare, esiste un deficit infrastrutturale importante tra Nord e Sud, non solo in termini di strade, autostrade, ferrovie, ponti e gallerie ma anche in tutte le altre spese di investimento tipiche di uno Stato moderno: ospedali, asili, scuole, università, case di risposo, tecnologie dell’informazione…
Una miriade di opportunità sprecate in molti decenni di sistema fiscale centralizzato, occasioni perse che oggi pesano sui nostri figli e, senza una riforma, peseranno sui nostri nipoti, in particolare penalizzando quelli che vivono nelle regioni del Sud.
Se il Nord vuole spendere di meno e meglio, recuperando spazi di libertà deve essere capace di far capire a tutti, ed in particolare al Sud, che il federalismo è utile a tutto il Paese. Lo sostenevano patrioti come Carlo Cattaneo, Luigi Sturzo ma anche meridionalisti come Gaetano Salvemini: “Il federalismo è utile economicamente alle masse del Sud”.
Occorre evitare invece il grande rischio che l’autonomia diventi una battaglia di un solo partito o di tre regioni contro tutti gli altri: in tal caso la storia anche recente ci insegna che è una battaglia destinata ad essere persa.
Magari può portare consensi a chi sventola il vessillo – sia del “pro” sia del “contro” l’autonomia – ma non porterà a una riforma vera del nostro Paese.
Compito di Forza Nord è di lottare per rendere possibile la riforma, operando sia per spiegare le ragioni a chi teme di perdere qualcosa, sia evidenziando la strumentalità di talune posizioni che, seppur possono sembrare a favore o contro l’autonomia, in realtà sono strumenti di puro consenso a scapito del cambiamento.
Lo possiamo fare solo all’interno di un grande partito nazionale e liberale come Forza Italia, che ha nei cromosomi il gene della libertà, la vera architrave di un sistema federale, e ha nel posizionamento politico centrale una posizione di equilibrio, necessaria per realizzare vere riforme.
All’interno del nostro partito le condizioni oggi sono ottimali, poiché sta crescendo una classe dirigente locale – con ottimi presidenti di regione, sindaci, assessori e consiglieri – che può senz’altro comprendere le ragioni di una maggior libertà degli enti territoriali, di un aumento della capacità di spesa e un allentamento dei vincoli che lo Stato centrale finora ha imposto. A Nord come a Sud.
Inoltre uno spostamento di 100 euro l’anno dalla spesa corrente a quella in conto capitale, può generare 1.000 euro di investimenti in opere pubbliche: un’occasione importante per dare finalmente ad alcune regioni la capacità di realizzare da sole le opere promesse dall’unità d’Italia e mai concretizzate.
“Fare le rivoluzioni è difficile, ma fare le riforme è quasi impossibile” si sente dire a qualsiasi corso di scienze della politica: la riforma del fisco in Italia è un’opera sicuramente ardua. Ma se riusciamo a mobilitare i giovani e far loro capire che è l’unica strada per coniugare sviluppo, efficienza e libertà, allora possiamo pensare davvero di migliorare il nostro Paese, l’unico fine nobile per chi ama la politica e il proprio territorio.
[1] Fonti: sito ufficiale Regione Lombardia e Unioncamere Veneto