La voglia di fare impresa è tornata a crescere ma, in un mercato sempre più difficile da decifrare e a fronte di modelli aziendali spesso poco aggiornati, è anche più facile che un’avventura imprenditoriale si trasformi in un fallimento.
I dati del terzo trimestre registrati da Istat, in Italia, hanno mostrato che il desiderio di scommettere sul futuro sia tornato a spirare. Una dinamica che ha riguardato soprattutto il settore dei trasporti (dove l’aumento degli investimenti è cresciuto di oltre l’8%) ma anche quello della comunicazione (+6%).
Allo stesso modo si è tornati ad aprire attività anche nell’ambito delle costruzioni e, ovviamente, del commercio. Insomma, in generale c’è stato un aumento complessivo delle attività pari al 3,6% che va letto come motivo di ritrovata fiducia nel costruire qualcosa di particolare e ambizioso, divenendo padroni del proprio destino e seguendo le proprie vocazioni e intuizioni.
Non a caso anche il confronto con lo stesso trimestre del 2022 offre riscontri simili, ribadendo la tendenza, mentre l’unico settore in pesante flessione come numero di registrazioni è quello dell’industria in senso stretto, alle prese con l’aumento dei costi energetici e con le difficili congiunture economiche internazionali.
In un clima che sembra dunque se non di ottimismo, almeno di coraggiosa esplorazione, c’è però il dato delle attività costrette a chiudere a fare da contraltare. Infatti, a causa probabilmente di un sovraffollamento di certe nicchie, ma anche di investimenti non ponderati o poggiati su una scarsa formazione, è lievitato il numero dei fallimenti. Rispetto allo stesso trimestre di un anno fa, sono stati oltre l’11% in più.
Si tratta di un dato su cui riflettere, anche se è una mentalità prettamente italiana quella di considerare l’epilogo negativo di un investimento come una macchia incancellabile sulle capacità imprenditoriali del singolo investitore. Semmai, ciò che serve sono una formazione più calibrata sui nuovi mercati e una spinta più decisa verso l’innovazione.