Precarietà, retribuzioni basse e pochi servizi per conciliare gli impegni: una neo-mamma su 5 lascia il lavoro

Sarà anche vero che la battaglia per la parità di genere va giocata a livello culturale. Ma questo non deve diventare un alibi per sviare da mosse concrete che andrebbero attuate in maniera strutturata e sistemica, anche copiando da alcune realtà estere.

L’obiettivo dovrebbe essere consentire alle donne di sfruttare servizi mirati alla continuità occupazionale e, di conseguenza, all’ottenimento di contratti migliori. Senza perdersi a discettare di patriarcato, ma rimettendo al centro la famiglia.

In Italia, invece, i numeri sono impietosi e indicano una situazione in cui il tasso di occupazione femminile è precipitato al 55%, contro il 69% della media UE.

Un altro dato è emblematico è contenuto nell’ultimo rilevamento del Servizio studi della Camera: una lavoratrice ogni cinque, una volta partorito, non rientra più al lavoro.

Può essere una libera scelta, ma più spesso è una decisione indotta: il Belpaese non è infatti ancora strutturato per aiutare le madri a non essere travolte da tutte le responsabilità pratiche nel crescere un nuovo nato.

Permane – specie al Sud – la carenza di asili che offrano accoglienza adeguata, flessibile e a prezzi accessibili. Oltretutto le prospettive di rientro in servizio sono poco invitanti, fra contratti a tempo determinato, spesso part time (riguardano il 49% delle donne, contro il 26% degli uomini) e con stipendi più bassi di quelli di compagni e mariti (meno 6% a parità di mansione).

Così le neo-mamme precarie, senza strumenti di formazione e riqualificazione professionale da sfruttare durante la maternità, pagate poco e private di spazi in cui collocare i figli, si trovano spesso costrette a rinunciare al lavoro.

In un sondaggio è stato chiesto loro il motivo della decisione: il 52% ha spiegato di aver trovato un contesto che non favorisce la conciliabilità degli impegni, mentre il 19% ha invece ritenuto economicamente più svantaggioso il ritorno sul posto di lavoro dell’autogestione del bambino. Un problema, quest’ultimo, quasi inesistente per le donne con un livello di istruzione alto, indice di occupazioni meglio pagate.

Resta però il fatto che – dati Inps alla mano – in Italia gli uomini guadagnano in media 26.227 euro e le donne 18.305, vale a dire quasi 8mila euro in meno. Un gap che è, allo stesso tempo, causa ed effetto di un contesto in cui si parla molto di famiglia e donne ma si agisce poco in concretezza per loro.

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