Walter Picco Bellazzi, avvocato, storico esponente del centrosinistra, iscritto al Partito democratico ma da sempre osservatore attento delle dinamiche politiche generali, lei come valuta il progetto dei Repubblicani?
«È una grande sfida, non semplice. Di sicuro seguo con interesse quello che combina Marco Reguzzoni perché è rimasto uno dei pochissimi che, oltre ad agire con intelligenza, ha anche una visione ampia della politica. La mia paura è che sia però troppo ampia per un mondo che invece non ama fare grandi ragionamenti ma si accontenta delle banalità sempliciotte».
Nel libro “Vento di cambiamento” ci sono tante riflessioni. Come le ha trovate?
«Mi è sembrata una lettura lucida della situazione, poggiata in buona parte su quelle che erano le idee della prima Lega ma attualizzate. Io non condivido tutto quello che dice, ma apprezzo il modo in cui prova ad affrontare i problemi nella loro globalità. E poi c’è un aspetto che mi piace molto…».
Vale a dire…
«Il fatto che uno come Reguzzoni teorizzi la necessità di creare un partito popolare di massa, sul modello della Democrazia Cristiana. Ecco, è bello che ad affermare che la DC fu comunque un grande partito sia uno che ha contribuito a distruggerlo. Vuol dire che possiede onestà intellettuale».
Lei oggi come vede il contesto politico?
«Il vero dramma è la mancanza di una preparazione di base in chi vuole amministrare la cosa pubblica. Nessuno studia più. Nessuno vuole fare gavetta. Arrivano e il giorno dopo pretendono di essere nominati presidenti della Repubblica. Per questo, un’altra cosa che apprezzo dei Repubblicani è la loro scuola di formazione. Cercano di dare un contenuto a una tabula rasa».
Davvero il quadro è così drammatico?
«Purtroppo, sì. Oggi spopolano i Vannacci. Non voglio fare il nostalgico, ma l’impeto e l’approfondimento che avevamo noi da ragazzi su guerre, ecologia, antagonismi, adesso è inesistente. Leggono mezza roba su Facebook e credono di aver capito tutto, scrivono un post e sono diventati dei leader. La tristezza è data dalla consapevolezza che, se non abbassi brutalmente il livello della riflessione, non riesci ad avere un seguito».
Ma allora il “Vento di cambiamento”, per citare il libro di Reguzzoni, può tornare a soffiare?
«In questo contesto di nebbia e miseria, ogni voce riflessiva che si alza è un bene. Per questo io leggo e ascolto quello che dice Reguzzoni, anche se spesso non siamo stati dalla stessa parte. L’idea di riunire un centro allargato entro certi valori è assolutamente logica. La possibilità di fare un partito di massa è stimolante anche se ho paura che i giocattoli rotti non li aggiusti più. Ma il vero problema è che un’idea così interessante e ambiziosa si scontra con il fatto che alla gente sembra non importare più nulla di queste cose così complesse, che richiedono fatica e tempo».
Come fare a non lasciarsi travolgere dal pessimismo?
«Cercando ognuno di fare la propria parte per tenere il livello alto. Io, ad esempio, seguo con attenzione quello che fa Marco Reguzzoni anche se la nostra storia politica è distante. D’altronde a scuola si copia da quelli bravi, non da quelli che ti fanno sbagliare».