Energia nucleare: il punto della situazione in Italia

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di Loriano Broggini

Dopo il G7

In aprile, a Torino, si è svolto il G7 dell’energia. Come da pronostico, che si parli di prospettive di decarbonizzazione o di futuro delle rinnovabili, il risultato fa molto riflettere. Il forum infatti ha prodotto un documento non solo per riconfermare gli impegni stabiliti durante la Cop28 a Dubai, ma addirittura si è spinto più in là e li ha resi più ambiziosi.

Primo tra tutti l’obiettivo di voler chiudere gli impianti a carbone entro il 2030. Intento più che sensato visto il continuo incremento che ha raggiunto oggi i suoi massimi storici, arrivando a un aumento medio mondiale del 2%. Ci si chiede, tuttavia, quale sarà il piano dei governi per ribaltare questo trend.

L’Italia, dal canto suo, ha rivolto lo sguardo alla fonte energetica più discussa: il nucleare. Il progetto, sottoscritto durante la conferenza, mira a contribuire per circa il 20% al “mix energetico” del paese. Sul tavolo del governo potrebbero già esserci i progetti di 15 minireattori, disegnati per soddisfare le esigenze delle imprese più energivore. Quelle colpite più di altre dall’aumento dei costi dell’energia.

Tra le incertezze dei più dubbiosi e gli endorsement di coloro che sostengono la tecnologia, emerge una netta contrapposizione che non si limita ai partiti nostrani, ma si estende anche ai governi del continente europeo. Alcuni scelgono di affidarsi al nucleare, come l’Inghilterra che ha in programma di attivare una nuova centrale entro il 2025; mentre altri optano per un totale abbandono, come la Germania che ha definitivamente chiuso tutte le centrali per affidarsi a fonti energetiche “meno rischiose”, come le rinnovabili e le centrali a gas.

Ma qual è la verità su questa fonte energetica? Quali sono i pericoli? E in che misura il nucleare può soddisfare il nostro bisogno di energia?

Il nucleare e le altre fonti

Il confronto tra il nucleare e i classici impianti di energia rinnovabile è sorprendente. Considerando che la produzione energetica del primo è praticamente continua e indipendente da fattori ambientali, emerge un divario significativo tra questa tecnologia e le altre fonti di energia.

Come si legge nel grafico, il “capacity factor” – cioè il rapporto tra la quantità di energia elettrica effettivamente prodotta dalla centrale rispetto alla sua capacità nominale – supera il 90%, a fronte di energie come l’eolico (Wind) e il solare (Solar PV) che non arrivano nemmeno al 40%.

Il dato dimostra un flusso produttivo sicuro, che riduce notevolmente la dipendenza da altre fonti e limita la necessità dei costosi e poco efficienti sistemi di accumulo dell’energia.

Un altro fattore da considerare, soprattutto nel Belpaese, è l’impatto ambientale. Se le rinnovabili hanno il presupposto di non impattare sull’ambiente, portando a zero lo scarto di C02, la struttura che ne deriva tende comunque a deturpare fortemente il panorama territoriale. Guardiamo al di là dell’oceano. Negli Stati Uniti si trovano alcuni tra i più imponenti impianti energetici al mondo. Il complesso di Ivanpah, per esempio, occupa un territorio di circa 14 chilometri quadrati nel deserto della California, una vastità che, pur connotando un notevole impatto paesaggistico, permette di generare una potenza di 392 MW. Un valore che, se convertito, risulta quasi pari al fabbisogno energetico annuale di Milano, sottolineando la significativa produttività di energia del sito. Tuttavia, a confronto, il nostro più grande impianto nucleare di Caorso spaziava su soli 2 chilometri quadrati. Col suo unico reattore, operativo per due anni, ha garantito una potenza elettrica annua di 860 MW. Un risultato eccellente per un impianto di vecchia generazione, che risulta addirittura migliore di quello americano di cui abbiamo parlato.

Ora che abbiamo ora una visione sintetica delle potenzialità dell’energia nucleare, possiamo tentare di far luce sui due più grandi incidenti nella storia dell’energia nucleare: Chernobyl e Fukushima. Questi eventi hanno segnato profondamente l’opinione pubblica e hanno diffuso un tabù duro a morire.

Il disastro di Chernobyl

Per primo, l’incidente di Chernobyl ha messo in evidenza i gravi rischi associati all’energia nucleare. Se n’è parlato tanto, e ancora oggi la gente rabbrividisce solo al pensiero.

Ma di fatto dopo Chernobyl è arrivata una riforma positiva delle normative di sicurezza in tutto il mondo. Nonostante il disastro abbia causato la perdita di molte vite umane, le fonti delle Nazioni Unite riportano che le morti dirette sono state “solo” 54. Anche considerando le stime più tragiche per le vittime successive dovute all’esposizione alle radiazioni, il numero rimane significativamente inferiore rispetto ad altre tragedie internazionali di portata più ampia. I danni ambientali poi non sono stati così disastrosi come si potrebbe pensare. La “zona di esclusione di Chernobyl”, grazie all’abbandono dall’uomo, offre oggi una delle aree a maggiore biodiversità dell’Europa. E questa tragedia, pur conservando la sua drammaticità, ha contribuito a mettere in evidenza i rischi associati al modello di centrale nucleare sovietico, che appunto non è stato introdotto in Europa e ha spinto le centrali ad aderire a rigorose normative di sicurezza.

Fukushima: la tragedia spiegata

L’impatto reale della tragedia di Fukushima, invece, si discosta notevolmente dall’immagine collettiva che ne è emersa. Al sopraggiungere di un terremoto e di uno tsunami, i reattori nucleari hanno raggiunto uno stato critico, culminando nella fusione del nocciolo dei reattori e nella conseguente fuoriuscita di materiale radioattivo nell’ambiente. Tuttavia, secondo il rapporto UNSCEAR 2021 (Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti), non sono state né saranno attribuite morti alla fuoriuscita di radiazioni dalla centrale. Ecco perché, tuttora, l’incidente non è ricordato come “nucleare”, ma come “naturale”.

Ricapitolando, i livelli di sicurezza raggiunti dalle centrali nucleari sono oggi così elevati che il rischio di incidenti è pressoché inesistente. Le tecnologie di ultima generazione, con sistemi ferrei, controlli costanti e risposte immediate alla comparsa di eventuali disfunzioni, le rendono sicure e affidabili. Certo, il tema della sicurezza resta, e la severità con cui viene trattato influisce sulle spese di realizzazione. Il vero ostacolo emerge qui. Per intenderci; i costi dell’energia prodotta sono sì minimi rispetto ad altre fonti, ma l’installazione e la costruzione delle centrali è ancora un processo lungo e dispendioso. Al costo overnight puro vanno purtroppo aggiunti i tassi di interesse. Sì, potrebbero essere arginati da interventi pubblici, ma ciò risulta difficile, poiché la costruzione di una centrale richiede molto tempo. La media europea è di circa 7 anni.

Mettendo sulla bilancia tutto, però, sembra esserci una risposta chiara: l’energia nucleare è quella che garantisce un margine produttivo infinitamente superiore a tutte le altre.

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